A cura di PRISMA Studio, in collaborazione con Francesca Busellato
PRISMA STUDIO, 3 Ottobre – 2 Novembre 2024
Antonella Casazza, Elisa Cella, Eleonora Chiesa, Loredana Galante, Secil Yayali, Saba Najafi, Marta Mez, Tina Sgrò
“Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunità e sfatiamo il mito della sua laboriosità sussidiaria” – “Dare alto valore ai momenti “improduttivi” è un’estensione di vita proposta dalla donna”
Cfr. Carla Lonzi, Manifesto di Rivolta Femminile (1970) *
Le due frasi sono tratte dal testo, ritenuto alla base del femminismo in Italia, della storica dell’arte e militante Carla Lonzi, che ha un valore particolare perché, nonostante siano passati più di cinquanta anni dalla sua prima pubblicazione, può dirci ancora molto sulla nostra società e sul rapporto con il ruolo delle donne in essa. Non è questo il contesto per trattare un argomento così ampio e delicato, ma lo è lo spunto offerto dalle
due citazioni che mi ha spinto a utilizzarle come chiave di lettura alle opere scelte per la mostra 7+1 Venus. Nel testo emerge in modo importante la dimensione del femminile e la sua spiccata caratteristica relazionale, la critica al tema del lavoro convenzionalmente associato esclusivamente alle donne, e l’idea della sua non necessaria convenzionalità, il ruolo del corpo al centro della riflessione femminista, proprio o dell’altrə, anche in relazione all’ambiente. 7+1 Venus è il frutto di un’intenzione collettiva di tre artiste Loredana Galante, Antonella Casazza e Marta
Mez, che si sono costituite in Comitato e hanno deciso di curare insieme una prima mostra a Milano Venus in Furs nel marzo del 2024.
L’obiettivo del progetto è sintetizzato in una frase nel catalogo realizzato ad hoc per l’occasione: “indagare e restituire uno spettro di declinazioni concettuali ed estetiche di un’esperienza artistica attinente alle
donne”. Ne è nata la collettiva presentata allo spazio SAC a cui sono state invitate a partecipare 24 artiste, tenendo come fil-rouge della loro presenza la “caratterizzazione femminile” e la dichiarata reciproca
conoscenza, sostenuta nelle storie personali e nelle relazioni.
Il Comitato sempre, in una logica di rete, ha raccolto l’invito di Eleonora Chiesa di portare a Genova il progetto presso Prisma Studio, ma in una versione ridotta e più intima, selezionando solo sette artiste e
invitando la sottoscritta a collaborare. Alla base del progetto c’è quindi una dichiarazione di intenti delle artiste stesse che vestono i panni di curatrici e propongono il loro progetto nella logica della relazionalità
del femminile, disinnescando il meccanismo che vede le donne in competizione, amplificando invece il valore della complicità. L’obiettivo è stato quello di accogliere quelle che ritenevano, nella loro rete, le
forme di espressione più ampia e variegata della ricerca artistica.
La mia voce raccoglie un invito a collaborare, senza alterare le scelte del Comitato, ma solo delineando un percorso. Sempre dietro invito ho coinvolto a mia volta Seçil Yaylali un’artista turca, a cui sono legata da
una relazione di conoscenza professionale e di amicizia, che nel suo lavoro sintetizza più dimensioni creative: manuale e artigianale, di progettazione e design e di lavoro partecipativo con vari stakeholders, in particolare le donne. Yaylali espone una serie di disegni che sono ispirati a un laboratorio realizzato con un gruppo di donne del popolo Mapuche, a Santiago del Chile nel 2019, sul tema dell’appartenenza, da cui è emerso il legame profondo che quest’ultime hanno ancora con la terra. Il lavoro di ricerca sulle radici delle piante di cactus da lei successivamente realizzato e qui presentato, prende il nome da una poesia Mapuche I want to break the earth with my plow of a stick (2024), e si concentra sulle immagini di alcune tipologie molto diffuse in Cile. L’osservazione analitica dei vegetali l’ha portata ad osservare e rilevare graficamente come i loro corpi e le spine siano meno estesi in superficie rispetto alle radici sottoterra, e a riprodurne le forme in serigrafia e linoleum su carta cotone. Il lavoro di Yaylali si muove spesso quindi in una logica di interazione con il femminile nella dimensione progettuale e di realizzazione manuale, dove il corpo, fisico o metaforico, assume un ruolo fondamentale.
Nel percorso della mostra il lavoro di Yaylali si interseca con le artiste chiamate dal Comitato partendo da Loredana Galante, che con l’artista turca condivide l’approccio manuale del cucito e ricamo, oltre ad avere
una particolare interesse per l’attività performativa. In mostra Galante presenta diversi lavori accomunati dall’interesse per vari medium espressivi (installazione, performance, pittura e laboratorio) accomunati
dall’intento di lavorare su strati emozionali differenti e di approcciarsi alla realtà con gentilezza.
Intarsio (2021), Un anno di merda (2003) e Gold Shoes (2024) sono tre lavori dell’artista che sintetizzano il suo approccio multiforme ai temi dell’esplorazione delle dimensioni personali e relazionali del femminile e
ironizzano sul lavoro concepito come prettamente al femminile proponendo progetti che spiccano sia nella loro grazia sia nell’ironicità.
Ancora più divertito ma non meno impegnato il lavoro di Antonella Casazza con la serie Addiction un gioco per immagini ed associazioni ispirato alla sua passione per il gioco del lotto e la smorfia napoletana. Qui presenta il lavoro dal titolo 28 (2024) dove ritorna il tema del corpo femminile.
E’ invece nel corpo performativo di Eleonora Chiesa, che presenta i video How to explain pictures to a Live
Rabbit (2022) e How to explain pictures to a Live Garden (2024), due performance entrambe in Omaggio a Beyus accompagnate dal testo di Georges Didi Huberman Immagini malgrado tutto (2005). Veniamo coinvoltə in una densa analisi del rapporto che intercorre tra lo sguardo e il corpo (nel suo più ampio significato anti-specista) e l’ambiente.
La rappresentazione installativa in ferro di una diatomea, organismo che vive principalmente in acqua e che genera più di un quinto dell’ossigeno che respiriamo, è opera di Elisa Cella. 22-C38 Lyrella Lyra (2022) si ispira alla forma di una specifica specie di diatomea e rappresenta l’interesse per la ripetitività della forma circolare dell’artista, spostando la riflessione sul valore intrinseco della vita.
La dimensione dello spazio delle architetture dipinte da Marta Mez, qui presentate in Q15 (2023), e gli ambienti interni di appartamenti e luoghi e di lavoro di Tina Sgrò in Galleria di Luce (2023), sono apparentemente vuoti, ma è evidente che si pensi alla presenza di corpi che li attraversino o vivano. La solitudine a cui richiamano si lega al lavoro di Saba Najafi che in Puzzled (2024), installazione composta da materie semplici come carta pesta e fili di lana, richiama allo spaesamento nel rapporto tra sé, lo spazio e
l’inconscio.
La cifra quindi della mostra nella sua complessità sta prima di tutto nella genuina intenzionalità di un gruppo di donne artiste, che hanno creato un percorso insieme senza entrare in competizione ma bensì collaborando, e che probabilmente non avrebbero mai pensato di ritrovarsi in un contesto comune, perché magari distanti per visioni, pratiche e scelte stilistiche, ma la cui presa in cura reciproca ha permesso di creare un percorso virtuoso.
La conchiglia villosa, realizzata ad hoc dal Comitato per la comunicazione, rimanda immediatamente al corpo in modo un po’ ironico e punk, sintetizzando le svariate sfaccettature di un progetto collettivo tutto al femminile. (Francesca Busellato, Genova, Ottobre 2024)
*Cfr. Carla Lonzi, Manifesto di Rivolta Femminile (1970), riedito nel 2023 da Baldini e Castoldi.